“LA NAZIONE” di Firenze – Domenica, 24 Settembre 1995
CLASSICA/INCONTRI STIMOLANTI AL "SETTEMBRE"
“Del Vescovo, ovvero l’agilità”
Articolo di Daniele Spini
FIRENZE – Il programma lo riferiva soltanto alla serie “Giovani concertisti”, senza attribuirlo a nessuna delle scuole che si confrontano in questa felice edizione di Settembre musica, zeppa di nuove e interessantissime conoscenze. Di fatto il chitarrista Ganesh Del Vescovo andrebbe considerato in quota al conservatorio “Cherubini” dove ha finito di studiare con un maestro senza pari come Alvaro Company. Ma forse sarebbe ancora più giusto togliergli anche l’etichetta del “giovane”: e non perché non possa risultare più tale all’anagrafe, ma semplicemente perché un concertista della sua statura tecnica e interpretativa non sembra davvero aver bisogno di mettere le mani avanti e chiamarsi per dire così fuori gara con le attenuanti dell’età o della poca esperienza.
Le capacità strumentali di Ganesh Del Vescovo sono di primissimo ordine. Sicurezza, agilità, controllo del suono convergono in una capacità davvero non comune di dipanare sulle sei corde della chitarra anche le polifonie più complesse. Riesce a esprimere una dinamica molto variata e una grande ricchezza di colori, che gli consentono di differenziare al massimo i piani sonori, pur intervenendo su ciascuna linea con sottolineature espressive molto belle. Su questa linea sembra muoversi anche la sua abilità di trascrittore, che riesce a rendere estremamente pertinenti alla chitarra anche musiche nate per altri strumenti: come è successo per i magnifici pezzi di Frescobaldi (specialmente per il prodigioso Capricco sopra la battaglia) che insieme a una Fantasia bellissima di John Dowland e all’immancabile Asturias di Isaac Albeniz fornivano la componente non originale del programma.
Ma in Ganesh Del Vescovo il dominio dello strumento è solo il punto di partenza di un’interpretazione insieme intelligentissima e intensa nel cantabile, limpido e disteso, non meno che nel fraseggio discreto ma eloquente e ricco di sfumature. Poca concessione agli effetti, anche nei momenti di più dichiarato virtuosismo, e invece una costante ricerca, in ogni settore di un programma ampio e ricco di sollecitazioni, delle ragioni poetiche. Tanto da rendere la stessa giustizia a un capolavoro autentico come lo Homenaje pour Debussy di Manuel De Falla, forse il contributo più alto del Novecento alla letteratura della chitarra, e allagarbata banalità degli Studi (comunque asperrimi) di Fernando Sor, nella genialità sottile della Grande sonata di Paganini, nelle evocazioni calligrafiche del Segoviana di Darius Milhaud e nel folclore modernamente rivisitato degl Studi di Heitor Villa Lobos. Successo grandissimo e bis a ripetizione, finendo con la replica del Capriccio di Frescobaldi.
Peccato che anche questo concerto abbia dovuto fare i conti con l’acustica sciagurata, e del tutto indifesa dal fracasso esterno, del Salone del Brunelleschi agli Innocenti. Speriamo che un decret dell’autorità, o un fulmine, o una rivolta popolare mettano al più presto k.o. il bellissimo locale, ai primi posti nella sinistra graduatoria degli ambienti musicalmente più impraticabili della città: farci concerti è quasi come far mostre di quadri al buio.
Daniele Spini
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